Dalle mafie alle case farmaceutiche: quando finirà questa persecuzione?

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Un recente decreto del Ministero della Salute ha confermato l'inserimento del cannabidiolo (CBD) nella Tabella II-B delle Sostanze Stupefacenti esclusivamente per l'uso orale. Questo significa che la vendita e la detenzione di prodotti a base di CBD saranno soggette a maggior controllo, con importanti restrizioni per i consumatori.

Quali prodotti sono interessati?

Il decreto riguarda in particolare le "composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis". Questo include prodotti come:

  • Olio di CBD
  • Gocce di CBD

Inserire il CBD nella Tabella B significa ostacolare l'accesso a questa preziosa molecola per migliaia di persone che potrebbero trarne beneficio. Significa criminalizzare un prodotto naturale e sicuro, alimentando il mercato nero e togliendo potere alle persone sulla loro salute.

Un passo indietro per la salute e la libertà individuale

La recente decisione del governo italiano di inserire il CBD tra le sostanze stupefacenti ha sollevato un'ondata di indignazione e preoccupazione tra cittadini, associazioni e operatori del settore.

Perché questa scelta è sbagliata?

Numerose evidenze scientifiche attestano i potenziali benefici del CBD per la salute, tra cui la riduzione di ansia, dolore e infiammazione. Il CBD è stato inoltre impiegato con successo in terapie contro epilessia, sclerosi multipla e altre patologie. Classificare il CBD come stupefacente significa negare ai cittadini l'accesso a un prodotto potenzialmente benefico e ostacolare la ricerca scientifica in un campo con grandi promesse. Oltre al danno per la salute, la scelta del governo rappresenta un attacco alla libertà individuale. Vietare la libera vendita di prodotti a base di CBD significa imporre restrizioni ingiustificate alle scelte dei cittadini su come prendersi cura di sé.

Un'inutile stretta repressiva

L'inserimento del CBD tra le sostanze stupefacenti non è supportato da alcuna reale necessità di tutela della salute pubblica. Il CBD non è psicoattivo e non crea dipendenza, come invece accade per le sostanze stupefacenti a cui viene assimilato. La vera minaccia per la salute pubblica è la disinformazione che il governo sta alimentando con questa mossa. Creando un clima di paura e confusione attorno al CBD, si induce i cittadini a diffidare di un prodotto potenzialmente benefico e si ostacola la ricerca di soluzioni alternative ai farmaci tradizionali.

È inaccettabile che il Governo italiano ignori le evidenze scientifiche e i bisogni dei cittadini. Chiediamo al Governo di rivedere la sua decisione e di riclassificare il CBD come prodotto non stupefacente. Il CBD è una speranza per il benessere di tante persone. Non lasciamo che venga criminalizzato.